Sono passati 26 anni dalla notte in cui l’essere umano è stato vittima del peggiore disastro nucleare mai verificatosi nella storia: l’esplosione di Chernobyl, la prima dimostrazione di come l’energia nucleare possa costituire una minaccia per la vita sulla Terra. Dopo la tragica notte del 26 aprile 1986 uno dei primi giornalisti occidentali ad ottenere l’autorizzazione ad entrare nella centrale nucleare di Chernobyl fu Pino Scaccia, inviato storico della Rai e importante reporter di guerra degli ultimi 20 anni. Pino Scaccia ha visitato Chernobyl nel 1991, nel 1996 e nel 2011 ed ha accettato di raccontarci l’angoscia provata nel rivivere quello che ha definito “l’incubo del mondo” e la paura del “nemico invisibile”.
“Quella di Chernobyl è stata un’esperienza importante non solo sul piano professionale ma soprattutto su quello personale. Mi ha davvero cambiato e mi ha permesso di maturare una coscienza ambientalista che prima non avevo. All’epoca ero mosso principalmente dalla curiosità e dall’ambizione ed ero disposto anche a mettere in gioco la mia salute contro il pericolo della radioattività. A differenza dei servizi sulle guerre dove la minaccia è rappresentata dai soldati pronti a spararti contro, a Chernobyl il nemico era invisibile ma non meno spaventoso, anzi direi che all’epoca il collasso nucleare incarnò per tutti l’incubo del mondo”.
La centrale era situata in Ucraina al confine con la Bielorussia e la Russia, in particolare tra Pripjat (3 km) e Chernobyl (18 km). Furono sfollate oltre 336.000 persone. Che cosa trovò al suo arrivo 5 anni dopo?
L’esplorazione è stata molto angosciante ed è cominciata dalla zona 4, la meno pericolosa della campagna deserta di Chernobyl, per poi proseguire nel terzo e secondo cerchio radioattivo. Lì intervistai alcuni anziani contadini che avevano rifiutato l’idea di trasferirsi nel caos cittadino di Kiev per continuare a coltivare la terra, in attesa che il proprio destino si compi. Dopodiché è cominciata l’esplorazione più angosciante, quella della città fantasma di Pripjat, in cui era visibile la fretta con cui i 60mila abitanti avevano abbandonato le proprie case. Sono entrato in una scuola e c’erano ancora le merendine che i bambini avevano dovuto lasciare sui banchi. Il Luna Park della città era spettrale, la ruota panoramica immobile, il bosco era sbiancato e l’insegna all’ingresso indicava praticamente il nulla. Era lampante il segno dell’esistenza perduta ed in quel contesto mi sono sentito davvero come un sopravvissuto dinanzi alla vita che muore.
Quello di Chernobyl fu un errore umano che costò la vita a 65 persone più le decine di migliaia di malati e i danni ambientali che ancora si cercano di enumerare oggi. Com’è stato l’incontro con i tecnici della centrale?
Quando ci siamo avvicinati alla centrale nucleare per visitare il sarcofago il contatore della radioattività era oramai impazzito. Mi accorsi quindi di essere penetrato nel pieno dell’incubo del mondo e quando entrai all’interno della struttura, nella sala di controllo, c’era solo una parete che mi divideva dal reattore. Il capotecnico Serghei Sarshun ci spiegò tutta la dinamica e i 3 errori madornali che erano stati compiuti: la tecnologia sorpassata, la disattivazione paradossale delle misure di sicurezza (era in corso una simulazione n.d.r.) e gli ordini sbagliati. Un operatore originario di Pripjat, miracolosamente vivo, era lì con me per le riprese delle immagini ed insieme abbiamo girato la città fantasma stando attenti a non far sollevare troppo la polvere radioattiva. Fu molto triste quando passammo davanti la sua abitazione, era desolata ma vi trovò ancora il suo pianoforte. Non poté fare a meno di suonarlo e di commuoversi di dolore. È stato tutto drammaticamente emozionante e per un attimo ho avuto l’impressione di essere da solo nel bel mezzo del disastro. Non puoi non cambiare davanti a quella catastrofe.
Oltre alle regioni direttamente interessate, le nubi radioattive raggiunsero l’Europa orientale, la Finlandia, la Scandinavia e in misura minore l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria, i Balcani e parte della costa orientale del Nord America. Dopo questa toccante esperienza, qual è la sua posizione nei confronti del nucleare?
Il discorso è abbastanza complesso, non è questione di essere contrari o favorevoli all’energia nucleare. È una questione che riguarda il mondo intero perché non ha senso chiudere tutte le centrali di una nazione se poi il nostro vicino di casa continua ad usarle. L’Italia ad esempio ha rinunciato a tale fonte di energia ma paga un sovrapprezzo perché siamo costretti ad acquistare energia dalla Francia, che invece ancora utilizza le centrali nucleari. Questo non ci rende né autosufficienti né immuni dai rischi e se dovesse succedere un disastro anche il nostro paese ne pagherebbe le conseguenze. Oramai tutto ciò che accade nel mondo ha ripercussioni in ogni paese.
Riguardo alle energie rinnovabili, secondo lei potrebbero essere una valida alternativa?
Sono di certo favorevole alla ricerca di fonti di energia alternative, ma non sono molto convinto che possano soddisfare il fabbisogno energetico globale, soprattutto allo stato attuale delle cose. Credo che il problema energetico vada risolto a monte, ovvero a partire dai consumi. La società contemporanea ha il difetto di consumare troppo, basti pensare che il fabbisogno energetico di una grande azienda degli anni ’50 è equivalente a 3 appartamenti residenziali di oggi. La questione energetica è globale e non si esprime solo nella scelta o meno delle centrali nucleari, ma anche nelle guerre che si combattono per garantire l’approvvigionamento energetico dei paesi industrializzati.
Il suo suggerimento è quindi di adottare una politica di riduzione dei consumi.
C’è bisogno di una presa di coscienza mondiale, che riguardi non solo gli individui nelle loro individualità ma una buona fetta dei paesi mondiali, perché serve a poco spegnere la lampadina di casa nostra quando a Manhattan i grattacieli restano accesi tutta la notte consumando tanto quanto un paese africano. Credo ci sia bisogno di una politica energetica globale che indirizzi il mondo verso uno stile di vita più sostenibile.
Guarda l’ultimo reportage di Pino Scaccia (Chernobyl, 2001)