Avete mai pensato ad una nuova generazione di telefoni cellulari o protesi mediche che, una volta terminata la funzione, è possibile gettare tra i rifiuti organici o sciogliere in acqua? Questo potrebbe diventare presto realtà: si tratta dell’elettronica biodegradabile. Una nuova tecnologia che permette di fabbricare dispositivi in grado di sciogliersi in acqua o nei liquidi organici. Descritto sulla rivista Science, il risultato si deve al gruppo di ricerca coordinato da Suk-Won Hwang, dell’università americana dell’Illinois a Urbana– Champaign, e del quale fa parte l’italiano Fiorenzo Omenetto, che lavora alla Tufts University.
Ma vediamo come vengono costruiti questi nuovi dispositivi. Sostanzialmente vengono realizzati con materiali familiari all’organismo umano ma usati anche nell’elettronica tradizionale, come il magnesio, che è presente nel corpo umano e il silicio, che è biocompatibile. Questi materiali, in forma ultrasottile, vengono incapsulati all’interno delle proteine della seta – un materiale già ampiamente usato nelle suture e nell’ingegneria dei tessuti.
Questa nuova tecnica costruttiva spiegano i ricercatori, permetterà di realizzare dispositivi piccoli, robusti e dalle prestazioni elevate. In più essi saranno in grado di sciogliersi gradualmente in acqua o nei liquidi del corpo. L’elettronica transitoria – questo il nome tecnico, promette di offrire prestazioni paragonabili ai robusti dispositivi attuali, ma, il vero vantaggio, è che i suoi prodotti possono essere completamente riassorbiti dall’ambiente in un tempo prestabilito che va da minuti ad anni, a seconda dell’applicazione. E’ facile immaginare i vantaggi ambientali di telefoni cellulari, per esempio, che invece di languire in discariche per anni potrebbero semplicemente sciogliersi in acqua o finire in compostiera.
Tre sono le aree di applicazione particolarmente promettenti di questa nuova elettronica: riguardano medicina, ambiente e prodotti elettronici. Un’altra applicazione – spiega Omenetto – “un sensore, che rileva la presenza di infezione, può essere apposto direttamente sul sito da riparare. Una volta finito l’intervento, il sensore può monitorare il decorso del paziente senza il bisogno di recuperarlo in un secondo tempo perché questo si dissolve nel corpo”. La tecnologia può esser usata anche per il monitoraggio ambientale con sensori wireless che degradano nel tempo, eliminando qualsiasi impatto ecologico.
Speriamo che in un futuro prossimo si possa testare questa tecnologia sull’uomo.
Per il momento dobbiamo accontentarci dei risultati che, seppur incoraggianti, provengono dai test sui topi. E chissà che un giorno non canteremo bye bye plastica!
Vincenzo Trimarco