In occasione del I° Simposio Mediterraneo sul Biochar, svoltosi il 17-18 gennaio 2013, a Villa Raimondi di Vertemate con Minoprio (CO) si sono avvicendati sul palco i maggiori esperti al mondo in tema di carbone vegetale. L’ampia gamma di relazioni presentate ha consentito di comprendere lo stato dell’arte del biochar, in particolare in termini di impatto ambientale, sistemi di produzione, caratterizzazione, certificazione, normativa e analisi del mercato potenziale.
“Il biochar è un sistema che si presta per una gestione intelligente della biomassa a beneficio della collettività”, ha sottolineato Johannes Lehmann del College of Agriculture and Life Sciences della Cornell University (Ithaca, Stati Uniti), “E’ una soluzione interessante da diversi punti di vista: gestione di scarti agricolturali, produzione di energia in modo sostenibile mediante pirolisi, efficacia in termini di incremento di produttività della biomassa, minor ricorso a fertilizzanti minerali, funzione di sequestro di carbonio, miglioramento della capacità di ritenzione idrica del terreno, disponibilità dei nutrienti, recupero di suoli degradati”.
Massimo Valagussa, referente del MAC – Minoprio Analisi e Certificazioni – ed esponente dei Comitati scientifico e organizzatore dell’evento, ha concluso con orgoglio l’intensa due giorni esortando alla concretezza: “E’ stato dato con chiarezza il messaggio che è corretto approfondire scientificamente ogni minimo dettaglio, ma è ormai anche maturo il tempo di cominciare ad impiegare il biochar in agricoltura e nell’ortoflorovivasimo al fine di beneficiare delle sue enormi potenzialità”. Ed in effetti i suoi punti di forza si confermano essere davvero promettenti, su scala sia locale che globale. “L’importante è che come biomassa di partenza si impieghino scarti vegetali provenienti dall’agricoltura e dai processi di trasformazioni dei prodotti agricoli, evitando lo sviluppo di colture dedicate.
Le variabili che incidono sull’efficacia dell’impiego del biochar sono molte, dalla biomassa di origine, al suolo a cui viene applicato, dal tipo di coltura interessata al clima considerato, e molte altre ancora, tanto che i risultati osservati non sempre sono univoci. Ma per alcuni aspetti la ricerca è ormai matura, e consente di trarre conclusioni particolarmente interessanti, soprattutto da un punto di vista ambientale. “In generale”, dichiara Franco Miglietta, ricercatore dell’IBIMET-CNR e coordinatore del progetto europeo Eurochar “si può affermare che circa l’80% del carbonio contenuto nel biochar al momento dell’applicazione viene trattenuto nel suolo anche oltre cento anni. Una conclusione che consente di candidare il biochar a preziosa soluzione per il sequestro di carbonio nel suolo e dunque per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Fatta esclusione per alcune tipologie di biomassa, per le quali in funzione della tecnologia utilizzata (carbogenesi, pirolisi o gassificazione), il bilancio costi/riduzione delle emissioni non risulta positivo”.
Il biochar non solo contrasta l’impoverimento di carbonio del suolo, ma secondo alcuni studi (Rondon et al), grazie al suo impiego sono state completamente eliminate le emissioni di CH4 (potenziale climalterante 25 volte superiore a quello della CO2) mentre quelle di N2O (GWP 298 CO2eq) sono state dimezzate.
Altro aspetto importante riguarda le ricadute sulla produttività. “Combinando in modo opportuno la biomassa da cui si ricava il biochar, le caratteristiche del suolo sottoposto a trattamento e la specie colturale”, spiega Lehmann, “si può arrivare persino a raddoppiare la quantità di biomassa prodotta. Tale incremento deriva in buona misura dalla capacità del biochar di migliorare l’efficienza dei fertilizzanti inorganici, il che comporta un minor ricorso a tali sostanze con evidenti vantaggi economici e ambientali”.
Mettendo in fila i diversi contributi alla mitigazione dell’effetto serra associati alla pirolisi di biomassa per la produzione di biochar e bioenergia, si ottiene un interessante e promettente quadro d’insieme (Gaunt and Cowie, 2009). Il potenziale di riduzione delle emissioni è, infatti, il risultato di una serie di benefici:
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– il risparmio di fertilizzanti o altri input grazie agli effetti del biochar applicato sui terreni agricoli (es. minor compattazione del suolo);
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“In determinati contesti, laddove per ragioni climatiche o per la chimica del suolo il terreno sia soggetto a rapida degradazione”, sottolinea Johannes Lehmann, “si utilizzano, soprattutto nell’agricoltura biologica, notevoli quantità di compost, molto costoso e impegnativo nella fase di applicazione. Integrandolo al biochar è possibile arrivare a dimezzare i quantitativi di compost con evidenti importanti ricadute”.
“Non solo”, prosegue Lehmann, “Producendo energia mediante pirolisi si trattiene nel biochar circa il 50% del carbonio investito nella produzione di energia. In pratica la metà del carbonio che sarebbe ritornato rapidamente in atmosfera viene sottratto in forma tale da rallentare enormemente il ciclo. In pratica è possibile concepire un sistema per la produzione di bioenergia che non presenti un ciclo del carbonio neutro ma che sia addirittura “carbon negative” (v. link).
Come detto, le proprietà chimico-fisiche del carbone vegetale variano in funzione della tipologia di processo e della biomassa di partenza. Dal confronto tra idrochar prodotto per carbogenesi (Hydrothermal Carbonization o HTC) e biochar prodotto per gassificazione o pirolisi emergono notevoli differenze. Secondo diversi esperti, tra cui lo stesso Lehmann, l’idrochar non è biochar: è diverso per consistenza, aspetto, odore, ma soprattutto nell’idrochar la frazione carboniosa non è stabile, e quindi non si presta al sequestro di carbonio, non risulta un buon ammendante e in alcuni casi ha mostrato effetti tossici.
Ricercatori ed esperti da tutto il mondo stanno, inoltre, investigando su temi e filoni di studio per i quali la letteratura è ancora relativamente scarsa: l’impatto del biochar sulla fauna del suolo e sugli ecosistemi acquatici; gli strumenti e le metodologie per valutare la stabilità del carbonio nel biochar; la caratterizzazione del carbone vegetale per comprenderne il comportamento nel suolo e nella crescita delle piante e per evitare ricadute negative o danni al raccolto; l’eventuale tossicità e gli effetti sull’espressione genica di una data specie; l’applicazione per la produzione di cibo in Sahara; l’impiego nei tetti verdi; il potenziale mercato; la contabilizzazione dei crediti di carbonio…
In uno studio volto a valutare il bilancio energetico e le emissioni associate al processo pirolitico con produzione di biochar (Gaunt & Lehmann, 2008), è risultato un output energetico netto positivo e competitivo rispetto ad altre tecnologie energetiche, nonostante l’impiego del biochar come ammendante anziché come combustibile in sostituzione di risorse fossili. La combinazione di produzione di bioenergia con impiego di carbone vegetale nel suolo risulta dunque una soluzione vincente.
“Purtroppo ad oggi in Italia non è consentito l’utilizzo del biochar come ammendante- sono le parole di Valagussa, -Inserendolo nel ciclo del compostaggio si riesce però ad aggirare l’ostacolo e ad utilizzarlo in modo legale. Questo nell’attesa che la normativa venga adeguata”. Nel frattempo la ricerca continua. E il mercato… si prepari