La ferocia che sta attraversando in questi giorni le strade della Turchia sembra apparentemente essere mossa da ideali ecologisti che si sono aizzati contro l’abbattimento degli alberi del Gezi Parki, l’unico polmone di Istanbul che per giorni è stato presieduto da centinaia di occupanti.
L’area verde antistante la piazza di Taksim, infatti, sarebbe destinata a diventare un grande centro commerciale con abitazioni di lusso e, a partire dal 28 maggio scorso, gli addetti ai lavori avrebbero cominciato ad abbattere i primi alberi del Parco.
Il futuro Gezi Park Project è un piano annunciato dal premier turco Recep Tayyip Erdogan che prevede la costruzione di un centro di aggregazione “consumistica” e di shopping per turisti come parte integrante di una più ampia politica di riedificazione urbana per la costruzione di una nuova cultura turca in linea con la strategia di attrazione di investimenti e di apertura al commercio e ai consumi.
Il decennale governo di Erdogan aveva previsto una serie di grandi opere che andavano ad impattare sul valore storico,culturale e soprattutto ambientale della città, come ad esempio: l’abbattimento degli alberi per la ricostruzione delle antiche caserme ottomane che sorgevano antecedentemente nella stessa piazza di Taksim, o il progetto del terzo ponte sul Bosforo per alleggerire il traffico di automobili della città (il più lungo e largo ponte al mondo al cui cantiere partecipa anche una nota azienda italiana di costruzioni). Da ricordare anche il terzo aeroporto internazionale della città da 100 milioni di passeggeri, le gradi moschee monumentali (come quella di Camlica Hill) e grattacieli per la futura Istanbul Metropolitan. Infine, il progetto mastodontico da lui stesso definito “folle” per l’ampliamento del Bosforo – il Bosforo Bis, un canale artificiale lungo 45 chilometri, largo 150 metri e profondo 25, sulla sponda europea di Istanbul per dirottare l’enorme flusso di traffico fra il Mar Nero e il Mar di Marmara.
In realtà le ragioni della protesta non sono riconducibili solo ad un piano urbanistico mirato all’ accrescimento economico della capitale senza tenere conto del benessere di chi la abita. Le ragioni delle rivolte sono riconducibili anche alla sferzata islamica imposta da Erdogan che per la sete di potere, è sceso a patti con il fanatismo religioso supportandolo con un governo militarizzato. In turchia tra i manifestanti si parla di sviluppo postmodernista o modello “fully modern and fully religious” alla Akp (Partito della giustizia e dello sviluppo, di cui è leader Erdogan).
“Forse non abbiamo informato bene la popolazione. Il progetto serve alla città, al suo sviluppo, all’economia – ha dichiarato il premier turco commentando alla stampa nazionale la rivoluzione civile in corso nella città. Ma l’ondata di resistenza partita dal Gezi Park di Taksim ha nel frattempo raggiunto anche Ankara, Adana, ed Izmir.