Il Comitato GEO Monterotondo denuncia, in un comunicato stampa, i pericoli nascosti nel sistema di gestione dei rifiuti della Regione Toscana, generatore di una “economia gonfiata, una bolla di mercato destinata ad esplodere sui consumatori”. La sovrastima dei rifiuti che i cittadini toscani avrebbero dovuto produrre, ha generato la costruzione di 1.249 impianti di conferimento dei rifiuti. Più delle chiese che sono 1.012 (compresi conventi, pievi, eremi, monasteri e santuari). “Che si possa parlare di “bolla dei rifiuti toscana” ormai è palese a tutti a fronte di una stima di produzione di rifiuti del decennio passato decisamente esagerata”.
I rifiuti diminuiscono ma gli impianti no. Secondo i dati ISPRA del Rapporto sui rifiuti urbani 2012, la produzione dei rifiuti in Toscana è calata di circa l’8% nel biennio 2011/12, ed è destinata a scendere ancora di più nei prossimi anni. Le cause sono da ravvedersi sia nella crisi economica che ha generato una contrazione dei consumi e quindi della produzione dei rifiuti, ma anche nelle politiche della Regione Toscana per la riduzione dei rifiuti sia domestici che industriali (7,5 mln di euro investiti nel biennio 2007/2008).
“Tuttavia nei decenni scorsi la sovrastima dei rifiuti in Toscana ha comportato la pianificazione e costruzione di un numero esorbitante di inceneritori e discariche, che ora lavorano part-time o solo per alcune linee degli impianti. Statisticamente risulterebbe un inceneritore ogni 288 mila abitanti circa, ma in realtà ogni 150 mila, poiché circa il 46% dei rifiuti prendono la via della discarica”.
Un “mega-mosaico” di imprese partecipate. In sostanza, una politica molto aggressiva per il trattamento dei rifiuti, secondo il Comitato GEO di Monterotondo, ha generato da una parte, la costruzione di molti impianti; troppi rispetto al fabbisogno della sola Toscana che, dall’altra parte, ha visto il finanziamento di azioni di riduzione di rifiuti verso i cittadini. Un circolo vizioso che si traduce nella nascita di 50 imprese partecipate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni. “Si tratta di molte migliaia di posti di lavoro creati in questo particolare comparto come ammortizzatori sociali, con una pletora di posizioni dirigenziali e manageriali. Un impero che, alla luce della effettiva produzione di rifiuti e del trend in calo, mostra anche agli sprovveduti una fragilità intrinseca connessa alla limitata disponibilità di materie prime-seconde”.
Gli impianti bruciano rifiuti di altre regioni. Le conseguenze “negative” della riduzione dei rifiuti in Toscana, sono sia gestionali che economiche. Nello scorso giugno infatti, la Regione ha avviato “pratiche illegali rispetto alle leggi nazionali: si importano rifiuti urbani da altre regioni! – in particolare 24.000 tonnellate di spazzatura provenienti dalla Calabria a seguito delle ripetute emergenze rifiuti. Si teme che “questa strategia abbia ulteriori sviluppi, magari legati all’emergenza rifiuti di Roma”, ostacolando un piano gestionale di lunga visione ma soprattutto c’è il rischio di avviare una serie repentina di passaggi di denaro, sottoforma di rifiuti, da una regione all’altra.
La concorrenza sui rifiuti. Sul piano economico, si rischiano di bilanci negativi sia peri comuni che per le aziende del settore. “Dal 2010 il mercato dei rifiuti ha accusato il trend in diminuzione e reagito con una concorrenza tra i vari gestori di impianti tramite il calo delle tariffe di conferimento; per i rifiuti urbani anni fa’ erano mediamente intorno ai 120 €/t, mentre ora sono circa 90 €/t, o meno. Un calo di introiti del 25%!. I primi a patirne i danni saranno i lavoratori, e, con effetto domino, anche tutti i vari consorzi e partecipate che compongono l’impero dei rifiuti sopra rappresentato, oltre ai cittadini che subiranno un crollo del livello di servizio, se non rischi di emergenze. L’ipotesi peggiore è che i passivi di gestione vengano scaricati sugli utenti”.
Ma quali potrebbero essere i correttivi per un sistema così complesso? Il Comitato Geo auspica, come soluzione, alla stesura partecipata dai cittadini di un nuovo Piano Regionale dei rifiuti “che ridefinisca la strategia nell’ottica di rifiuti zero, con conseguenti adeguamenti di impiantistiche e gestioni”. Accorpamento delle società di gestione, processi decisionali partecipati dai cittadini, porta a porta, abbandono degli inceneritori e delle discariche a favore delle biomasse “un piano ben diverso dal faraonico sistema realizzato, teso solo a creare impianti ridondanti, posti di lavoro clientelari, tutto a scapito di tariffe TARSU, dell’ambiente e della salute pubblica”.