La biodiversità marina non è solo nelle barriere coralline. Anche le aree temperate della terra – come il Mediterraneo – possono essere considerate patrimonio di biodiversità marina e, considerando l’abbondanza di specie e il ruolo funzionale. emergono nuovi hotspot di biodiversità finora sottostimati.
È necessario istituire nuove aree marine protette per salvaguardare le specie marine da fenomeni antropici, come la pesca e l’inquinamento.
A rivelarlo è uno studio globale sulla vita sottomarina, pubblicato questa settimana della rivista Nature, condotto da Laura Airoldi, professoressa di ecologia dell’Università di Bologna e attualmente presso l’Università di Stanford, dal team leader Prof. Graham Edgar e dal Dr. Rick Stuart-Smith, della Università della Tasmania (Australia). I campionamenti sono stati condotti nell’ambito del programma Reef Life Survey, un progetto australiano di citizen science, che punta al coinvolgimento del pubblico – in questo caso volontari subacquei – nelle attività di ricerca di svariati ambiti.
La “ricchezza di specie”, ovvero il numero di specie in un ecosistema, è il parametro biologico che, fin dai tempi di Darwin e Linneo, è stato utilizzato per assegnare le priorità di salvaguardia tra un ecosistema e l’altro. Ma, dice la Prof. Airoldi, “Contare soltanto le specie offre una visione parziale di quale sia la reale ricchezza di un sistema”, è importante anche capire il ruolo di ogni specie all’interno degli ecosistemi, la loro identità, la loro abbondanza e le “caratteristiche funzionali”, cioè la dieta prevalente, il modo in cui si cibano , dove vivono, se sono attivi di notte o durante il giorno, e il livello di aggregazione.
Lo studio ha analizzato oltre 4 mila campionamenti standardizzati di pesci in 1844 località in tutto il mondo, che comprendevano regioni tropicali, temperate e polari. “Il nostro è il primo studio su scala globale, e ha prodotto una mappa molto diversa della distribuzione della biodiversità tradizionalmente intesa“. Ci sono infatti, nuove aree geografiche, in ambienti temperati, in cui la diversità funzionale di pesci è più elevata che nelle barriere coralline.
Il Mar Mediterraneo ad esempio, è purtroppo una zona a bassa diversità funzionale, le cui cause sono da ricercare nello sfruttamento antropico del bacino, come pesca, navigazione e inquinamento. “Nel Mediterraneo molte specie di pesci – spiega Airoldi – rischiano l’estinzione a causa dell’eccessiva attività di pesca, dell’inquinamento e della perdita di habitat. Attualmente stiamo rianalizzando i dati per individuare possibili relazioni tra la bassa diversità funzionale osservata in alcune regioni quali il Mediterraneo e alcuni importanti impatti antropici al fine di identificare priorità nella gestione adattativa dei sistemi marini su scala sia regionale che globale”.
Un risultato molto importante per la conservazione e gestione delle aree marine, in particolare per l’istituzione di nove zone di tutela che attualmente scarseggiano nelle latitudini temperate. È quindi importante che si istituiscano nuove aree marine protette anche nelle regioni temperate dell’emisfero sino ad oggi sottostimate.