Ammontano a quasi 50 miliardi di euro all’anno i danni ambientali e sanitari delle attività di imprese e famiglie: è quanto emerge da uno studio sui costi esterni dei settori dell’economia italiana realizzato e illustrato dalla società di ricerca e consulenza economica ECBA Project, specializzata nell’analisi costi-benefici di progetti e politiche d’investimento, con una particolare attenzione verso le componenti ambientali e sociali.
I costi esterni ambientali complessivamente calcolati da ECBA Project in relazione alle emissioni in atmosfera dell’economia nazionale nel 2012 ammontano a 48,3 miliardi di euro. Considerato che il PIL del 2012 è stato di 1.566 miliardi di euro ai prezzi correnti, e le esternalità complessive di imprese e famiglie pari a 48,3 miliardi, l’incidenza delle esternalità sul PIL è pari al 3,1%.
Il comparto con maggiori costi esterni ambientali è quello delle famiglie, con 15,2 miliardi di euro (31%), seguito dall’industria con 12,9 miliardi (27%), dall’agricoltura, silvicoltura e pesca con 10,9 miliardi (23%) e dai servizi con 9,4 miliardi (19%).
All’interno di queste macro-aree, si individuano e sottolineano i danni ambientali e sanitari dei veicoli di trasporto delle famiglie (7,8 miliardi), degli impianti di riscaldamento delle stesse (7,2 miliardi) e dell’industria manifatturiera (7,1 miliardi). Elevati anche i costi esterni dei servizi di trasporto e logistica (3,9 miliardi), del settore dell’energia elettrica e del gas (3,7 miliardi) e del commercio (3,1 miliardi).
Ma quali sono i fattori che incidono di più su queste stime e quali gli effetti su ambiente e salute?
Il 27% dei costi è dovuto ai gas ad effetto serra, ben il 72% ai principali inquinanti atmosferici e meno dell’1% alle emissioni di metalli pesanti. Il fattore di emissione più impattante è il particolato fine (PM2,5) con 17,1 miliardi di euro di costi esterni (35% del totale), interamente ascrivibili ad effetti sanitari (per malattie respiratorie e mortalità a lungo termine), seguito dall’anidride carbonica (CO2), principale responsabile dei cambiamenti climatici di origine antropogenica, con 11,2 miliardi di costi esterni (23%), e dagli ossidi di azoto (NOx) con 8,3 miliardi(17%). In quest’ultimo caso i costi esterni sono dovuti principalmente agli effetti sanitari associati alla formazione indotta di particolato secondario e, per la parte restante, agli effetti di riduzione della biodiversità dovuti al fenomeno dell’eutrofizzazione dei suoli, sempre attraverso le emissioni di NOx.
La principale innovazione di questa metodologia di analisi, spiega Andrea Molocchi, partner di ECBA Project e co-autore dello studio, “è di poter finalmente disporre di un indicatore che rapporta alla ricchezza creata da un’attività economica in un dato anno quella distrutta esternamente dalla stessa attività, e che quindi esprime anche l’efficienza di un’economia nella prevenzione dei danni ambientali: un indicatore unificante che finora è mancato nell’impostazione delle politiche, ambientali e di sviluppo”.