Dal secolo scorso, nella nostra società, soprattutto in quella tradizionale contadina, vi è stato un profondo mutamento della scena del parto. Esso è diventato sempre più medicalizzato, arrivando allo spostamento totale del parto dalla propria casa all’ospedale.
Così si è passati dal considerarlo un evento corale tutto al femminile, che coinvolgeva le donne del vicinato nel prestare aiuto alla partoriente, capeggiate dalla più esperta, inscritto negli eventi naturali, ad un evento invece fortemente medicalizzato, la cui naturalezza si è quasi del tutto persa, in cui la donna, con tutti i suoi saperi, non ha più centralità, diventando oggetto passivo che subisce l’evento.
Indubbiamente la medicalizzazione ha portato anche dei grandi vantaggi come una diminuzione della mortalità da parto, della natimortalità e della mortalità infantile, ma paradossalmente nelle donne sono fortemente aumentati i vissuti d’ansia, la percezione del pericolo e la paura di affrontare il parto e di non riuscire a tollerare il dolore. La partoriente oggi vive spesso una condizione di forte solitudine. Tutto ciò porta a dover fare varie considerazioni.
PARTORIRE E’ UMANO. Fondamentale diventa la necessità di “umanizzare” il parto in ospedale e di far diventare le donne veramente protagoniste, trasmettendo un sapere che non sia solo quello medicalizzato, ma che tenga conto anche dei loro saperi, dei loro tempi e dei loro ritmi.
IL PARTO E’ UN’ESPERIENZA. Per far ciò è importante aiutare le donne a diventare più consapevoli e più in contatto con se stesse e fare in modo che il parto diventi anche un momento di crescita personale, in cui emerga la capacità di lasciarsi andare all’esperienza, la capacità di accettare ed integrare il dolore come esperienza naturale e di sostenere l’elaborazione depressiva della perdita, che avviene subito dopo la nascita, nella quale madre e bambino sono separati, dopo esser stati un tutt’uno per nove mesi. Grazie a questa incredibile esperienza la donna può crescere, scoprire e riscoprire la propria forza e la propria capacità di padroneggiare ciò che le accade.
AUTOREGOLAZIONE ORGANISMICA. L’essere umano ha in sé la saggezza per capire cosa sia meglio per se stesso. E’ necessario aiutare la partoriente ad avere fede nell’”autoregolazione organismica”, cioè nella capacità innata dell’organismo di autoregolarsi da solo, repressa dalla cultura e dalla società, che impediscono invece questa saggezza naturale insita negli esseri viventi, ma che può essere recuperata nell’abbandonarsi all’esperienza.
LA PARTORIENTE NON E’ UNA MALATA. Quindi bisogna fare in modo che la donna si prenda la scena del parto come non ha potuto mai fare fino ad ora, che diventi parte attiva e non subisca più passivamente un mondo eccessivamente medicalizzato che l’ha trasformata in una “malata”. In questa direzione vanno varie tecniche di parto, elaborate a partire dagli anni ’70, come il parto dolce, noto anche come “metodo Leboyer”, dal nome del suo precursore Frederik Leboyer.
Dott.ssa M. Grazia Milone
Psicologa e Psicoterapeuta