“Quella di Courmayeur è la frana più monitorata al mondo – ha dichiarato Stefania Notarpietro del consiglio Nazionale dei Geologi – D’altra parte di frane così ce ne sono tante altre, anche più grandi, ma non suscitano un clamore tale. Perché? Perchè “sotto” non c’é La Palud, una località prestigiosa della più nota Courmayeur”.
Lo smottamento di pietre e terra dal Monte di La Saxe, sopra Courmayeur, tiene con il fiato sospeso il villaggio “fantasma” La Palude ed ha, inoltre, innalzato l’attenzione sul rischio idrogeologico dell’Italia che, a conti fatti, attraversa tutto lo stivale, dalla Sicilia alle Valle D’Aosta, con almeno 500.000 movimenti franosi sui 700.000 di tutta Europa.
“Manterremo alta l’attenzione su Courmayeur – ha dichiarato Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi -, ma in Italia ci sono altre situazioni gravi che non ricevono la stessa attenzione. L’unica strada per mitigare i rischi idrogeologici in Italia è la prevenzione e ma per prevenire bisogna conoscere. Non so quanti delle 6 milioni di persone che vivono in aree a rischio idrogeologico ne sono consapevoli”.
Il principale fattore di pericolo infatti, è rappresentato dall’urbanizzazione selvaggia che si è protratta per anni anche nelle zone con grave rischio idrogeologico, come nel caso di Agrigento, Messina e Gimigliano. “Ormai abbiamo costruito un po’ ovunque – dichiara all’Adnkronos Gian Vito Graziano, – è necessario evitare di continuare: una buona pianificazione evita di costruire dove c’è una frana di 50 metri, ma ancora oggi purtroppo i temi legati al territorio sono ancora marginali”.
La roadmap delle frane d’Italia parte dal centro storico di Agrigento “con la cattedrale deformata dai movimenti che avvengono in profondità. Si sta cercando di intervenire spendendo tanti soldi ma senza risultati”, ricorda Graziano.
La situazione è aggravata a Vampolieri, la collina sopra Acireale, che oltre ad essere sottoposta a continui movimenti franosi è anche classificata come zona sismicamente attiva, ulteriore aggravante per crolli e dissesti “sismindotti”. Stessa situazione a Messina, nella zona dei Nebrodi, in cui nel 2010 si innescarono frane che interessarono una trentina di centri abitati.
In Calabria troviamo Gimigliano, in provincia di Catanzaro, un paese letteralmente sorto sopra una frana profonda tra i 50 e i 70 metri, una dimesione esorbitante se si pensa che “le frane superficiali sono quelle dai 3 ai 4 metri di profondità, quelle normali 15 metri” spiega Paolo Cappadona, consigliere del CNG. La frana di Gimigliano “è più vasta e profonda di quello che si pensava fino a poco tempo fa, interessa tutto il centro abitato, e procede lentamente, causando lesioni a fabbricati, alcuni dei quali sgomberati, e franamenti localizzati. Non possiamo escludere evoluzioni in senso peggiorativo e un processo di accelerazione soprattutto se associato al pericolo sismico che caratterizza quest’area come tutta la Calabria”. Un’area con tale rischio dovrebbe essere sottoposta a monitoraggio continuo a “andrebbero attuati interventi strutturali per mitigare il fenomeno visto che è impossibile fermare il movimento”.
Anche nel centro-Italia c’è rischio idrogeologico e ad Ancona si monitora costantemente una frana particolarmente profonda che è ancora attiva e non del tutto “esaurita”. In tale caso, la frana “non si può fermare né stabilizzare – spiega Gian Vito Graziano – l’unica cosa che si può fare è rallentare il movimento”.
I principali fattori che contribuiscono ad incrementare il rischio idrogeologico sono “il consumo di suolo, l’impermeabilizzazione del terreno e il disboscamento che influiscono sul regime delle acque – aggiunge Graziano – e anche l’abbandono delle campagne contribuisce ad aumentare il rischio perché gli agricoltori svolgono un ruolo importantissimo sul controllo e la tutela del territorio”. Gli interventi strutturali non sempre sono possibili, come nel caso di Gimigliano e Agrigento, o comunque necessitano di opere importanti e finanziamenti di milioni di euro. “quello che si può fare è monitoraggio, contenimento e il consolidamento per mitigare i rischi”, conclude Graziano.