Dopo lo scandalo della Mercy for Animals, La Nestlé fa un passo verso il mondo animale e prende le distanze dagli allevamenti intensivi.
La nota multinazionale ha infatti siglato un accordo con World Animal Protection (Ong che si occupa di animal welfare), in cui si impegna a “migliorare il benessere animale” negli allevamenti da cui si approvvigiona. Si tratta del primo accordo di questo tipo sottoscritto da una multinazionale.
“Sappiamo che i nostri clienti si preoccupano del benessere degli animali e per questo motivo ci siamo impegnati come società a garantire i più alti livelli possibili di benessere in tutta la nostra catena di fornitori a livello mondiale” si legge nel comunicato dello scorso 21 agosto.
La svolta animalista della Nestlé non arriva a caso: negli ultimi tempi infatti, la multinazionale era stata travolta da un’ondata di web video riportanti i maltrattamenti subiti da mucche e vitellini, al’interno degli allevamenti intensivi lattiero-caseari di alcuni fornitori della Di Giorno Pizza (Gruppo Nestlé).
L’indagine condotta dal gruppo Mercy for Animals (Mfa), ha quindi reso necessario per la Nestlé una rivisitazione della propria filiera di approvviggionamento e, in base all’accordo, saranno eliminate molte delle forme più crudeli di abuso sugli animali come il taglio della coda e la decornazione di bovini da latte, la castrazione dei suinetti senza analgesici e dell’utilizzo di ormoni per la crescita rapida del pollame. Saranno riviste anche la dimensione delle gabbie di vitelli, scrofe gestanti e galline ovaiole.
Queste riforme potrebbero segnare una vera inversione di marcia e “costringere” altre multinazionali a fare altrettanto. E si spera che McDonald MCD e Wal-Mart WMT siano pronte a seguire l’esempio.
“Pur consapevoli del fatto che questa decisione da parte di Nestlé sia probabilmente da guardare come un’operazione di marketing o di greenwashing, –commenta Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus –si tratta tuttavia di una notizia che accogliamo positivamente. Soprattutto perché è un segno evidente di come il tema del benessere animale sia sempre più sentito e condiviso dall’opinione pubblica e dai consumatori che, con le loro istanze, sono in qualche modo in grado di influenzare le politiche della produzione industriale”.