Gli animali sono utilizzati per numerose, anzi purtroppo infinite, applicazioni in procedure pseudo-scientifiche.
L’assurdità della vivisezione si palesa particolarmente nelle indagini su ricerche legate all’alimentazione umana, come dimostra l’incredibile studio effettuato su ratti presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, e condotto dalla dott.ssa Alessandra Bordoni.
Lo scopo, ipotetico, dell’esperimento, come riporta un articolo pubblicato sul sito “Più sani più belli” (http://www.piusanipiubelli. it/farine-grano-antico-ha- proprieta-antinfiammatorie- antiossidanti.htm), era capire la diversa reazione negli animali rispetto all’ingestione di grano duro o di grano khorasan, meglio noto come KAMUT, un cereale a marchio registrato di cui la società Kamut International ltd ha il totale monopolio, famoso in tutto il mondo a seguito di un’operazione di marketing senza precedenti, grazie alla quale le persone credono che il kamut sia un tipo di grano e non un prodotto commerciale.
Strano, ma vero, lo studio è stato promosso proprio dalla Kamut Enterprises of Europe e, ancora più “incredibile”, il risultato dell’esperimento mostra come il cereale da loro commercializzato abbia valori nutrizionali migliori del grano e capacità antiossidanti, ma guarda che caso!
A pagare il conto, come al solito, sono stati gli animali usati nei laboratori del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna: tenuti a digiuno, stabulati e uccisi per inutili dati che non sono applicabili all’uomo.
Il sistema digestivo di un ratto, chiaramente, è differente da quello dell’uomo, basterebbe considerare, tra i mille parametri analizzabili, che il ratto vive nelle fogne e ha una flora batterica molto complessa e diversa dalla nostra (proprio sull’importanza della composizione specifica della flora batterica intestinale umana si stanno facendo numerose scoperte ed è altresì noto come forme streptobacillari siano innocue per questi roditori e scatenino infezione nell’uomo).
I ratti, peraltro, non soffrono certo di celiachia!
Anziché sperperare fondi e lavoro per studi su modelli animali, le ricerche dovrebbero concentrarsi su concrete e attendibili investigazioni epidemiologiche, e fornire informazioni sulla prevenzione nello sviluppo di forme di intolleranze al glutine: il khorasan è un frumento noto e diffuso tra la nostra specie almeno dal 300 A.C., per cui qualche dato sulla sua tollerabilità dovremmo averlo.
Inoltre, già da decenni numerose persone l’hanno inserito nella loro dieta: non era forse più semplice, pratico e utile studiare reazione immunitaria e capacità antiossidante nelle popolazioni che naturalmente lo consumano da anni, invece di trattare ratti e oltretutto con tempi di esposizione ridicoli?
La celiachia è un male in crescita nei Paesi occidentali e la cura non è alimentarsi col Kamut, ma guarire lo stato di infiammazione diffusa dovuta a un’alimentazione scorretta, industriale e monotona già dal periodo gestazionale.