Sono accampati ormai da quasi quattro giorni sulla Polar Pioneer, piattaforma in uso a Shell e in viaggio nell’Oceano Pacifico, sei attivisti di Greenpeace che quasi novanta ore fa l’hanno scalata per opporsi alle trivellazioni nel Mare Artico, vicino l’Alaska.
I sei attivisti – che non stanno interferendo in alcun modo con le attività di navigazione – si trovano sul lato inferiore del ponte principale della Polar Pioneer. Nelle scorse ore hanno aperto uno striscione raffigurante un gufo delle nevi, contenente i nomi di milioni di persone che in tutto il mondo hanno firmato finora la petizione di Greenpeace in difesa dell’Artico.
Una nuova ricerca indipendente realizzata dalla National Academy of Sciences chiarisce come non ci sia un modo efficace per rimediare a uno sversamento petrolifero in un’area in remota, ghiacciata e tempestosa come l’Artico. Questa ricerca è l’ennesima sfida a quanto sostiene invece Shell, che afferma di avere le capacità per fronteggiare una tale evenienza.
Il governo degli Stati Uniti stima che ci sia il 75 per cento di possibilità che avvenga un ingente sversamento di petrolio nel Mare di Chukchi, come conseguenza di attività di pompaggio e trattamento in quell’area. Inoltre, un altro studio, finanziato proprio dal governo statunitense, solleva seri dubbi sulla possibilità di fronteggiare uno sversamento di grandi proporzioni.
Nonostante questo, solo qualche giorno fa il Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti aveva annunciato un primo via libera alle concessioni petrolifere nell’Artico. Un passo che potrebbe significare che entro cento giorni Shell sarà autorizzata a trivellare nel Mare Artico vicino l’Alaska.
Ecco il video: