I “rave party” vengono di solito considerati eventi ad alto rischio per i giovani, principalmente per via delle droghe che spesso sono assunte dai partecipanti, prima fra tutte la cosiddetta ecstasy (MDMA nella denominazione chimica).
Ma, anche senza l’uso di droghe, le particolari condizioni ambientali di un evento del genere sono capaci di creare disfunzioni neurologiche simili a quelle provocate dall’ecstasy stessa.
Sono i risultati di uno studio condotto presso il laboratorio di Neurofarmacologia, Dipartimento di Patologia Molecolare, I. R. C. C. S. Neuromed di Pozzilli (IS), sotto le direttive del professor Ferdinando Nicoletti e pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Pharmacological Research. I ricercatori dell’Istituto molisano hanno esaminato gli effetti sul comportamento e sul cervello indotti dalla esposizione a condizioni ambientali tipiche di un “rave”: sovraffollamento, musica techno ad alto volume e forti luci intermittenti.
“Questo esperimento – dice Carla Letizia Busceti, del laboratorio di Neurofarmacologia, Dipartimento di Patologia Molecolare del Neuromed, primo autore del lavoro scientifico – fa seguito ad una nostra precedente ricerca nella quale avevamo visto come l’ecstasy provocasse alterazioni neurochimiche estremamente simili a quelle della malattia di Alzheimer nell’ippocampo, una regione cerebrale che sappiamo essere profondamente implicata nei processi di apprendimento e memoria. Ma l’ecstasy è una droga molto usata nel contesto dei “rave party”. Ci siamo così chiesti se anche le condizioni esterne tipiche di quegli eventi particolarmente stressanti potessero avere, indipendentemente dalle droghe, un qualche effetto neurologico. Ed è proprio quello che abbiamo trovato: i topi sottoposti ad una situazione di stress analoga a quella di un “rave” presentavano alterazioni nelle capacità di apprendimento e memoria”.
Lo studio ha permesso di svelare uno stretto parallelismo tra gli effetti neurochimici associati all’uso di ecstasy e quelli indotti dalla esposizione ad una condizione di stress multifattoriale rappresentata da fattori ambientali che ricalcano le condizioni di un “rave party”. “Abbiamo trovato – continua Busceti – alterazioni comportamentali e neurochimiche simili a quelle che si riscontrano dopo l’assunzione di MDMA. Ad essere colpita, in particolare, è la proteina Tau, un componente critico della struttura cellulare dei neuroni. Gli effetti, come nel caso dell’ecstasy, erano principalmente a carico dell’ippocampo. Ed ancora una volta, sono caratteristiche simili a quelle che si riscontrano nella malattia di Alzheimer”.
Le alterazioni del comportamento e gli effetti neurochimici osservati negli animali esposti allo stress multifattoriale erano transitorie, ma non per tempi brevi: il picco delle alterazioni si aveva a trentasei ore dall’inizio delle stimolazioni stressanti. Questo vuol dire che per un periodo critico di tempo il cervello rimane comunque alterato in quei processi critici che negli esseri umani sono legati allo studio, alla concentrazione sul lavoro e alla capacità di usare macchinari o guidare un’automobile.
“Naturalmente – conclude Busceti – dobbiamo considerare che le condizioni sono diverse tra gli animali del nostro esperimento e la realtà dei giovani che partecipano ad un “rave”. Tanto per cominciare, un ragazzo va volontariamente a queste feste, e può decidere di restare o andarsene quando vuole. Saranno quindi necessarie altre ricerche per valutare con certezza se questi fenomeni avvengano anche negli esseri umani. Ci troviamo di fronte ad un potenziale fenomeno subdolo, nel quale non c’è un malessere evidente eppure le capacità cognitive sono alterate, e lo rimangono nel tempo”.
Un individuo che partecipa ad un evento “rave” nella convinzione di aver sperimentato solo “libertà e ribellione”, non è consapevole che la sua vita quotidiana possa essere condizionata da una inconsapevole e subdola alterazione cellulare a livello cerebrale con caratteristiche simili a quelle della malattia di Alzheimer. La durata di tali alterazioni non è definibile nell’uomo e non è detto che il quadro di transitorietà dei fenomeni cerebrali non possa sfociare in irreversibilità se associato a concomitante uso di droghe o alcol. Lo studio, infatti, descrive un incremento delle alterazioni neurochimiche osservate a livello ippocampale in animali in cui l’esposizione allo stress multifattoriale è stata associata alla somministrazione di ecstasy. Tale effetto di potenziamento delle alterazioni cerebrali indotto dall’uso concomitante di ecstasy è stato descritto in termini di entità ma non di durata dell’effetto. Tuttavia, questo risultato non esclude il rischio di irreversibilità potenzialmente inducibile da concomitante esposizione a droghe nell’uomo.
“Questo lavoro – commenta Valeria Bruno, del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia, Università Sapienza di Roma, e Responsabile del Laboratorio di Neurobiologia Cellulare e Molecolare del Neuromed – si inquadra nel più ampio filone delle ricerche che il nostro laboratorio conduce da tempo sugli effetti dell’abuso di droghe. Vogliamo esplorare in maniera approfondita la tematica, per mettere nel giusto contesto questi fenomeni, a cui spesso non si attribuisce il giusto peso e non sono considerati un problema. Qui abbiamo dimostrato che l’esposizione a stimoli ambientali stressanti causa alterazioni in aree cerebrali coinvolte nelle funzioni cognitive. Se a questo si aggiunge l’abuso di droghe che si riscontra in alcuni contesti, il rischio di danni cerebrali potrebbe raggiungere livelli preoccupanti. Ci troviamo di fronte ad alterazioni che possono influenzare pesantemente la vita dei giovani e delle quali spesso non si ha coscienza”.