L’innovazione dell’industria alimentare, un gigante che in Italia vale 134 miliardi di euro, fa rima con green economy e sostenibilità ambientale.
Questo il senso dell’importante convegno che si è tenuto oggi ad Ecomondo, dal titolo “Verso una catena alimentare a zero rifiuti: tecnologie abilitanti per la sostenibilità dell’industria alimentare e la gestione dei rifiuti in una prospettiva di economia circolare”.
Il convegno – curato da Unibo, Confagricoltura, Atia-Iswa Italia ITALIA, Cluster Tecnologico nazionale Agro-Food Consorzio Italiano Compostatori e Comitato tecnico Scientifico di Ecomondo -, ha offerto l’occasione per fare il punto sulla nuova sfida che attende oggi il settore dell’agroindustria: quella di una riconversione mirata a ridurre ogni forma di spreco, a cominciare da quello delle materie prime, lungo l’intero percorso della filiera.
L’obiettivo è quello di reimmettere nella filiera gran parte di quello che oggi viene invece scartato come rifiuto (si parla di perdite intorno al 40%), trasformandolo in nuovi prodotti del circuito alimentare (ad esempio mangimi) piuttosto che in materiali destinati al percorso della cosiddetta chimica verde (bioraffinerie). E’ quello che il professor Fabio Fava, coordinatore scientifico di Ecomondo, ha definito il “percorso nobile” lungo il quale è doveroso oggi incamminarsi.
“C’è molto da fare per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità della filiera e della valorizzazione dei rifiuti”, ha scandito durante il convegno il professor Fabio Fava. Ma il cammino, anche in Italia, dove operano circa 55 mila aziende, per lo più di piccole dimensioni (solo il 12% ha più di 9 addetti) – è avviato. La conferma è arrivata anche dal responsabile di Confagricoltura Ezio Veggia, che ha sottolineato la necessità di creare reti di impresa per la condivisione, ad esempio, di tecnologia. Non mancano le esperienze innovative, come il progetto di “agricoltura di precisione” che in Umbria si avvale anche di sistemi geosatellitari e di droni per la riduzione degli sprechi.
Il punto sul futuro delle Bioraffinerie Multi-Purpose.
E’ la nuova frontiera del recupero dei rifiuti organici: la loro trasformazione in sottoprodotti (prodotti chimici, biogas….) attraverso il sistema delle bioraffinerie. Una punta avanzata della cosiddetta economia circolare di cui si è discusso oggi ad Ecomondo nell’ambito del convegno, promosso dall’Ocse, dal titolo “Il recupero e la valorizzazione dei rifiuti organici nelle bioraffinerie multi-purpose”. La necessità di fare il punto sulle opportunità e le problematiche (da quelle finanziarie a quelle legislative, passando per quelle logistiche) legate allo sviluppo delle bioraffinerie era proprio uno dei motivi che ha spinto l’Ocse ad organizzare l’evento che si è tenuto a Rimini Fiera. L’organizzazione internazionale, infatti, sta da tempo studiando, all’interno di propri gruppi di lavoro, questo importante settore della green economy, con l’obiettivo di tradurre in indirizzi politici e raccomandazioni il risultato dei propri studi. Da questo punto di vista sono risultati “importantissimi i feedback ricevuti dai relatori e dai rappresentanti delle imprese intervenuti qui in fiera”, ha riferito, a margine del convegno, Peter Schintlmesiter, ministro austriaco (Scienza, Ricerca ed Economia) nonché presidente del gruppo di esperti della Commissione europea per i prodotti a base biologica, presidente della Task Force di Biotecnologie Industriali dell´OCSE e vice-presidente del gruppo di lavoro dell’OCSE sulla biotecnologia.
In Italia la raccolta differenziata di umido e verde dale del 9,5% nel 2014.
Gli italiani hanno separato oltre 5,7 milioni di tonnellate di scarto organico in un anno, pari a quasi il 43% di tutta la raccolta differenziata nazionale. Dal recupero degli scarti organici in Italia si ottengono oltre 1,3 milioni di tonnellate all’anno di compost con un risparmio di 1,4 Mt di CO2 equivalenti rispetto all’invio in discarica. A mettere in luce i vantaggi ambientali di questa buona pratica è stato questa mattina il Consorzio Italiano Compostatori a commento del Rapporto ISPRA 2015 presentato ad Ecomondo.
“Il quadro che emerge dal Rapporto è estremamente positivo – ha commentato il direttore del CIC Massimo Centemero – Più aumenta la raccolta dell’organico più i cittadini diventano consapevoli di quanto sia essenziale fare attenzione ad ogni minimo particolare per difendere l’ambiente. E la frazione organica, che è quasi la metà di tutti i rifiuti differenziati in Italia, è importantissima: da essa nasce il compost, un fertilizzante naturale, e da essa si può arrivare alla produzione di un prezioso derivato come il biometano per alimentare i veicoli”.
Il mercato del compost in Italia:
il nostro Paese conta attualmente 240 impianti di compostaggio e 43 di digestione anaerobica operativi. Da questi impianti si ottengono 1.326.000 tonnellate/anno di compost (dato Ispra 2015) di cui 334.000 t/a di Ammendante Compostato Verde, 149.000 t/a di Ammendante Compostato con Fanghi e 843.000t/a di Ammendante Compostato Misto. L’Ammendante Compostato Verde può essere utilizzato nel florovivaismo per sostituire le torbe d’importazione. L’Ammendante Compostato Misto e con Fanghi sono tradizionalmente impiegati in agricoltura di pieno campo come fertilizzazione complementare ai concimi minerali.