L’allarme di Greenpeace: “occorre chiudere in fretta per fermare i cambiamenti climatici”.
Se davvero vogliono contrastare i cambiamenti climatici, i leader europei devono accelerare la dismissione degli impianti a carbone. È questa la netta conclusione del rapporto “Fine di un’era: perché ogni Paese europeo deve pianificare l’uscita dal carbone” pubblicato oggi da Greenpeace.
Il rapporto mostra infatti che le emissioni delle centrali a carbone europee, nella maggior parte dei casi molto vecchie, dovrebbero diminuire tre volte più velocemente di quanto previsto dall’Unione per essere in linea con gli sforzi globali necessari a calmierare la febbre del pianeta.
Basandosi sul più completo database delle centrali a carbone europee, gli analisti del think tank Sandbag e del Climate Action Network (CAN) hanno quantificato le emissioni di CO2 rilasciate dalle 280 centrali operative in Europa.
Nel 2014 questo vasto parco di impianti ha rilasciato 762 milioni di tonnellate di CO2, pari a quasi un quinto (18 per cento) delle emissioni europee di gas serra, poco meno del totale delle emissioni dei trasporti su strada dell’intera Europa (21 per cento).
Secondo gli esperti dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di carbone dovrebbero diminuire dell’8 per cento all’anno fino al 2040 per far sì che l’innalzamento della temperatura globale rimanga entro la soglia di sicurezza di 2°C.
Il rapporto, commissionato da Greenpeace UK e CAN Europe, sprona i leader europei a prendere coscienza dell’inquinamento causato dal carbone e ad approvare piani energetici basati su tecnologie più pulite.
«Dal Canada alla Finlandia fino al Regno Unito, i leader delle economie più avanzate stanno dimostrando che è possibile fissare una data per la fine dell’era del carbone», ha dichiarato Wendel Trio, direttore di CAN Europe. «Abbiamo bisogno che il summit di Parigi produca un accordo forte per accelerare l’uscita dal carbone in tutta l’Europa».
In Italia il carbone contribuisce per circa il 12% alla produzione nazionale di energia elettrica.
Una quota modesta, specie per un Paese con un potenziale produttivo che eccede largamente la domanda, ma corrispondente all’emissione di 39 milioni di tonnellate di CO2, più di quelle dei settori dell’acciaio e del cemento messi insieme.
Lo studio di Greenpeace svela anche che due terzi (66 per cento) degli impianti a carbone in Europa sono attivi da 30 anni o più. Questo li rende particolarmente inefficienti, inquinanti e soggetti a incidenti.
I risultati sono stati pubblicati mentre i negoziati del vertice di Parigi sul clima stanno entrando nel vivo e i delegati di oltre 190 Paesi cercano di raggiungere un accordo globale sulla diminuzione delle emissioni di gas serra.