Uno studio scientifico redatto da alcuni ricercatori americani ha analizzato la concentrazione dei quantitativi di PM 2,5 presenti nelle zone limitrofe alle principali arterie urbane.
Secondo la ricerca, non è il traffico ad influenzare la presenza nell’aria di PM 2,5.
La pubblicazione scientifica, rilanciata dall’Environmental Protection Agency statunitense (EPA), nasce da un’analisi effettuata a Portland per stabilire i dati statistici sulle condizioni del traffico a misurazioni dirette 24 ore su 24 sulla qualità dell’aria.
I risultati della ricerca hanno rilevato che i quantitativi di PM 2,5 non dipendono direttamente dal volume del traffico automobilistico, ma da diversi fattori tra cui le condizioni meteorologiche e il livello di inquinamento regionale.
La ricerca, realizzata da un team guidato da Christine Kendrick, membro del Portland Bureau of Transportation, è contenuta in un volume di 132 pagine dal titolo: “Diurnal and seasonal variations of NO, NO2 and PM 2,5 mass a function of traffic volumes alongside an urban arterial”.
Nel presentare i riscontri del lavoro nel blog dell’EPA, Christine Kendrick ha evidenziato, invece, la correlazione riscontrata tra traffico e concentrazioni di ossidi di azoto e la necessità di adottare politiche adeguate per combattere l’inquinamento, a cominciare dalla segnaletica stradale ”che è essenziale per la sicurezza ma può creare situazioni di traffico che provocano ripercussioni negative sulla qualità dell’aria, in particolare nelle ore di punta, con situazioni di marcia stop and go. Per questo – scrive la Kendrick – è importante analizzare le zone della città per capire se è possibile ottimizzare la segnaletica stradale al fine di ridurre le emissioni nocive dei veicoli, in un bilanciamento con altre esigenze come i tempi di spostamento e la sicurezza”.