Uomo e macchina vanno sempre più di pari passo. Che un robot possa compiere funzioni pilotate dall’uomo non è una novità, ma che addirittura possa arrivare ad imitare i processi intuitivi del cervello umano è qualcosa che forse pensavamo più lontano a realizzarsi.
A quanto pare i tempi non sono così lunghi come immaginavamo: dai laboratori di Informatica e Intelligenza Artificiale (Csail) del Massachusetts Institute of Technology (Mit) arriva Galileo, un nuovo modello di computer capace di “osservare” i fenomeni fisici e imparare.
Presentato a Montreal in occasione di una conferenza sui sistemi neurali di elaborazione dell’informazione (Nips), il “cervello elettronico” è in grado di prevedere le proprietà di un corpo e di anticipare il suo movimento. Secondo i ricercatori del Mit, Galileo è un modello ancora molto semplice che però in futuro potrebbe migliorare le sue prestazioni e aiutarci a capire meglio i processi a base dell’intuizione, contribuendo allo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale.
Come si è arrivati a Galileo? Il modello computerizzato – che porta questo nome in onore dello scienziato pisano scopritore delle leggi del moto nella fisica classica – nasce da alcuni studi più recenti nel campo delle neuroscienze, secondo cui l’uomo, guardando una scena, è in grado di fare previsioni grazie a un “sistema fisico” mentale che si ricava dall’esperienza di tutti i giorni e che ci approccia a una grande quantità di leggi fisiche, seppur disordinate tra loro. Partendo da questa tesi, gli studiosi hanno fornito a Galileo 150 video in cui si trovavano diversi fenomeni fisici che riguardavano oggetti fatti con 15 materiali diversi. Attraverso questo procedimento, il computer ha imparato a dedurre le caratteristiche fisiche degli oggetti.
«Da uno scenario di un piano inclinato, ad esempio, Galileo può determinare la densità di un oggetto e poi prevedere se galleggia oppure no», sottolinea Ilker Yildirim, giovane ricercatore e principale autore del lavoro. «È il primo passo verso computer con una più profonda comprensione delle scene dinamiche via via che si evolvono».
Una scoperta, quella del Mit, che non ha nulla da invidiare ai film di fantascienza e che col tempo potrebbe arrivare ad evoluzioni ancora più sorprendenti.