Attraverso le immagini fornite dai satelliti del sistema Copernicus Sentinel2A, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha seguito la recente eruzione dell’Etna grazie ad un sistema che stima, attraverso sensori ottici a infrarossi, la presenza di aree ad alta temperatura (hot spot) nelle regioni vulcaniche. Sviluppato nell’ambito delle attività del progetto ESA-GEP (Geohazard Exploitation Platform) e finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), il sistema INGV, attualmente in fase di test operativo su un selezionato numero di vulcani attivi, ha permesso per la prima volta di poter seguire la recente eruzione dell’Etna, utilizzando immagini alla risoluzione spaziale di 20 metri.
“Il progetto ESA_GEP”, spiega Malvina Silvestri, tecnologo dell’INGV, “ha generato informazioni sulla geometria dei flussi lavici relativi all’eruzione dell’Etna, elaborando le immagini acquisite alle 10.45 (ora locale) del 16 marzo, alle 10.50 (ora locale) del 19 Marzo e alle 11.45 (ora locale) del 26 Marzo. Le immagini mostrano la lava emessa dal vulcano (figura 1, figura 2 e figura 3) e, in particolare, evidenziano in modo chiaro la presenza di colate emesse in tempi successivi e localizzate in due zone diverse. Quella più lunga passa a ovest dei Monti Barbagallo, mentre la colata che passa a Est è meno alimentata e, quindi, procede più lentamente”.
La missione Sentinel-2A, lanciata nel giugno del 2015, ha trasmesso immagini ottiche multi spettrali, grazie alle 13 bande ad alta risoluzione spaziale che monitorano i cambiamenti del suolo e della vegetazione. Sentinel-2A con il suo satellite gemello, Sentinel-2B, in orbita dal 7 Marzo, assicurano, infatti, un passaggio sulla medesima zona ogni 2-3 giorni alle medie latitudini. I dati sono distribuiti gratuitamente a tutti gli utenti.
“Lo studio mostra, ancora una volta, come il telerilevamento spaziale sia un supporto importante alle attività di monitoraggio e sorveglianza vulcanica. Non solo fornisce una visione sinottica in sicurezza rispetto ai rilievi in loco, ma anche un valido strumento per il monitoraggio di vulcani in aree remote, non facilmente accessibili. Il tutto grazie alla nuova data policy delle Agenzie Spaziali orientata alla distribuzione gratuita dei dati satellitari a Enti Istituzionali”, conclude Silvestri.