La nuova filiera vale già 30 milioni di euro, unendo agricoltura e moda ecofriendly.
Il fashion agricolo può esistere! Questa è l’affermazione dell’associazione femminile Cia-Agricoltori Italiani, che ha appena registrato il marchio Agritessuti. per creare una filiera del tessile Made in Italy 100% ecosostenibile, che metta insieme agricoltura, ambiente e abbigliamento.
Una sfida che risponde prima di tutto alle richieste dei consumatori: la domanda di capi sostenibili in Italia, infatti, è cresciuta del 78% negli ultimi due anni e oggi il 55% degli utenti è disposto a pagare di più per capi ecofriendly.
I numeri della filiera inedita degli agritessuti.
Secondo stime Cia, la produzione di lino, canapa, gelso da seta, oggi coinvolge circa 2.000 aziende agricole in Italia, per un fatturato di quasi 30 milioni di euro con le attività connesse.
Se la filiera degli Agritessuti venisse incoraggiata questa cifra potrebbe triplicare già nel prossimo triennio. Per esempio, coinvolgendo nell’immediato le 3.000 imprese produttrici di piante officinali, alcune anche tintorie, come lavanda e camomilla, allargandone il campo. E associando, ovviamente, la tintura dagli scarti dell’agricoltura: come le foglie dei carciofi, le scorze del melograno, le bucce della cipolla, i residui di potatura di olivi e ciliegi, i ricci del castagno.
Il commento di Pina Terenzi, presidente dell’associazione Donne in Campo Cia
“E’ una filiera tutta da costruire, ma di cui abbiamo il know-how, considerata la vicinanza tra le donne e la tradizione tessile, nella storia e ancora oggi. Per questo, ribadiamo la necessità di dare vita a tavoli di filiera dedicati, al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, a sostegno della produzione di fibre naturali, a cui andrà affiancata la creazione di impianti di trasformazione, diffusi sul territorio e in particolare nelle aree interne, per mettere a disposizione dell’industria e dell’artigianato un prodotto di qualità, certificato, tracciato e sostenibile”.
D’altra parte, è l’ONU per primo, con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, a sollecitare la costruzione di nuovi sistemi di produzione a minore impatto ambientale, e che anzi possano avere un ruolo positivo nei processi di riduzione dell’inquinamento, nel riciclo delle risorse e nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
Oggi invece l’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo, responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica.
Una maglietta richiede, in media, 2.700 litri d’acqua per essere prodotta, un jeans fino a 10.000 litri, utilizzando soprattutto fibre e coloranti di sintesi.
Considerato che il consumo mondiale di indumenti è destinato a crescere di oltre il 60% entro il 2030, è evidente quanto siano enormi le potenzialità di una filiera del tessile ecologicamente orientata, fino a rappresentare il 15-20% del fatturato del settore in Italia (4,2 miliardi).
“La sostenibilità, come chiede l’ONU, deve permeare tutto il business del tessile – conclude Pina Terenzi – chiamato come gli altri settori a riformare se stesso: metodi di produzione salva-ambiente, con l’uso di tinture che sprecano meno acqua o l’utilizzo di rifiuti come materia prima. L’agricoltura dimostra di essere in prima linea in questo processo di cambiamento, con le donne promotrici di un nuovo modo di vivere la moda nel rispetto del pianeta”.