L’afforestamento è una delle principali strategie riconosciute per mitigare i cambiamenti climatici. Ma un’Europa completamente ricoperta dalle foreste sarebbe più fresca di un’Europa completamente senza foreste?
Studiare i reali effetti sul territorio delle soluzioni raccomandate dalla comunità scientifica per ridurre le concentrazioni di gas serra in atmosfera passa anche dal cercare risposte a domande come questa, per preparare i decisori a gestire adeguatamente le conseguenze che possono essere indotte dalle politiche di pianificazione territoriale che prevedono variazioni nella destinazione d’uso del suolo a favore della tutela del clima.
E la risposta potrebbe non essere così scontata.
La pubblicazione Biogeophysical impacts of forestation in Europe: first results from the LUCAS (Land Use and Climate Across Scales) regional climate model intercomparison descrive la fase preliminare del più ampio progetto CORDEX FPX – LUCAS (Land Use and Climate Across Scales). Il progetto è mirato ad indagare gli effetti regionali e locali dei cambiamenti nell’utilizzo del suolo su diverse componenti del clima, dalla variazione delle temperature agli eventi estremi (come le ondate di calore e la siccità), nel breve e nel lungo termine. Attraverso esperimenti multi-modello, la scienza sarà in grado di anticipare ai soggetti coinvolti nella pianificazione territoriale gli effetti voluti o non voluti delle scelte a loro disponibili, con un’alta precisione che arriverà fino a 1-3 km di dettaglio.
Lo studio appena pubblicato, che vede il contributo della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici tra gli altri membri di EUROCORDEX – iniziativa protagonista della ricerca scientifica europea sui modelli climatici regionali – confronta due scenari ideali. Ipotizzando l’assenza di ogni città e costruzione umana, i due scenari idealizzati ricoprono, l’uno di alberi (scenario “foreste”) e l’altro di manto erboso (scenario “erba”), l’intera porzione di territorio europeo non occupata da fiumi, laghi, mari, ghiacciai e deserti. Confrontare questi due scenari ha permesso di studiare come le variabili atmosferiche, quali temperature e flussi energetici, rispondano in due casi “estremi” di utilizzo del suolo. Un passaggio funzionale alla definizione di scenari sempre più aderenti alla realtà nelle fasi successive del progetto.
“È la prima volta che un esperimento di questo tipo viene svolto con un approccio multi-modello, e non affidandosi a un unico modello climatico. L’utilizzo, in questo progetto, di nove modelli regionali sviluppati da diversi istituti di ricerca, e il confronto dei risultati ottenuti da ciascun modello, garantisce risultati più affidabili” sottolinea Paola Mercogliano, direttrice della divisione Regional Models and geo-Hydrological Impacts (REMHI) della Fondazione CMCC. “Il risultato di questa prima fase dello studio non è il più intuitivo. Ma quel che abbiamo imparato in questi anni è proprio che il cambiamento climatico non è un fenomeno intuitivo, poiché estremamente complesso”.
Dal confronto dei due scenari ideali emerge infatti che un territorio completamente ricoperto di alberi comporterebbe fino ad un grado di riscaldamento stagionale in inverno nel Nord Europa, rispetto ad un territorio completamente ricoperto di manto erboso.
“Tutti i nove modelli utilizzati sono concordi sul riscaldamento invernale nella penisola Scandinava nel caso dello scenario “foreste” spiega Mario Raffa, ricercatore CMCC tra gli autori del lavoro. “A livello fisico, il ruolo dell’albedo spiega questo risultato: la foresta si comporta come una maschera per il manto nevoso, e quindi l’albedo superficiale risulta maggiore nel caso di un territorio erboso, che una volta imbiancato dalle nevicate diventa capace di riflettere una quantità maggiore di energia solare rispetto alla foresta, con un effetto rinfrescante”.
I modelli sono invece discordi sulle conseguenze dei due scenari nel Sud Europa e nella stagione estiva, evidenziando la necessità di ulteriori indagini prima di poter trarre conclusioni.
“La risposta non univoca dei diversi modelli in alcune parti dello studio identifica l’area di incertezza che è necessario colmare. La comunità scientifica sta lavorando allo sviluppo di modelli climatici regionali sempre migliori nel considerare la complessità del sistema Terra e sempre più capaci di supportare il miglioramento della conoscenza degli scenari climatici, e questo progetto rappresenta un forte valore aggiunto in questa direzione” specifica Paola Mercogliano.