Quasi una stalla su dieci (9%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività per l’esplosione dei costi con rischi per l’economia e l’occupazione ma anche per l’ambiente, la biodiversità e il patrimonio enogastronomico nazionale.
E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme sul crack degli allevamenti italiani nel rapporto “Salviamo la Fattoria Italia”
L’allevamento italiano è un importante comparto economico che rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, per una filiera che vale circa 40 miliardi di euro, con un impatto rilevante dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro sull’intera filiera.
L’emergenza economica mette però a rischio la stabilità della rete zootecnica italiana che è importante non solo per l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale. A strozzare gli allevatori italiani è l’esplosione delle spese di produzione in media del +60% legata ai rincari energetici, che arriva fino al +95% dei mangimi, al +110% per il gasolio e addirittura al +500% delle bollette per l’elettricità necessaria ad alimentare anche i sistemi di mungitura e conservazione del latte.
A tutto questo si aggiunge il problema della disponibilità di fieno e foraggi, la cui produzione è stata tagliata dalla siccità, con i prezzi in salita anche a causa della guerra in Ucraina.
A rischio c’è un patrimonio zootecnico di oltre 6 milioni di bovini e bufale, oltre 8 milioni di pecore e capre, più di 8,5 milioni di maiali, altrettanti conigli e oltre 144 milioni di polli. Da salvare c’è la straordinaria biodiversità delle stalle italiane che, dalla mucca Grigio Alpina alla capra Jonica, dalla mucca Tarina alla pecora Saltasassi, conta decine di razze autoctone o a limitata diffusione suddivise in 64 razze bovine, 38 di capre e 50 di pecore, oltre a 19 di cavalli, 10 di maiali, altrettante di polli e 7 di asini che Aia (Associazione italiana allevatori) in collaborazione con Coldiretti vuole tutelare attraverso il progetto Leo con una grande banca dati sugli animali a rischio di scomparsa.
Particolarmente drammatica la situazione delle stalle di montagna con un calo stimato della produzione di latte del 15% che impatta sulla produzione dei formaggi di alpeggio, a causa della crisi, del cambiamento climatico e della mancanza della neve che ha impattato sul turismo. Ma a rischio c’è l’intero patrimonio caseario tricolore con 580 specialità casearie tra 55 Dop (Denominazione di origine controllata) e 525 formaggi tipici censiti dalle Regioni.
Allo tsunami scatenato dalla guerra in Ucraina si aggiunge poi la “spada di Damocle” della direttiva sulle emissioni industriali che finisce per equiparare una stalla con 150 mucche o un inceneritore o a una fabbrica altamente inquinante andando a colpire circa 180mila allevamenti ed esponendoli al rischio chiusura con un effetto domino sulle attività collegate.
La proposta di direttiva estende una serie di pesanti oneri burocratici a quasi tutti gli allevamenti dei settori suinicolo, avicolo e bovino che vengono considerati alla stregua di stabilimenti industriali. Una situazione che rischia di lasciare campo libero alle importazioni da paesi che non applicano le pratiche sostenibili di allevamento che caratterizzano il sistema produttivo europeo o, ancora peggio, e di spingere verso lo sviluppo di cibi sintetici in provetta, dalla carne al latte cibi sintetici.